venerdì 2 maggio 2014

It's raining

Capital City, Maggio 2516

Quella sensazione è una costante.
L'odore della pelle della donna che condivide il suo letto è sconosciuto, ma allo stesso tempo familiare. 
Il colore degli occhi molto più scuro di quello che realmente è.
Persino il suono della voce sembra ovattato e confuso, come se fosse presente unicamente nella sua testa.
Troppe pillole amico: senti le voci.
Quasi non sente la donna dai capelli biondi e dalla pelle chiara che stringe con decisione e forza a sè. C'è quella voce amorfa, gracchiante, come il gesso affilato sulla superficie di una vecchia lavagna nera.
Hai persino le allucinazioni. Avanti chi è che ti stai scopando?
Sente quella voce gracchiare, ridere. Per lunghi secondi. Fastidiosa, ma ha ragione.

Quando Melanie Bishop lascia il suo appartamento, può finalmente smettere di fingere di dormire.
Si alza faticosamente, con la spalla che pulsa di dolore vivo, come se in quel momento stesso qualcuno gli infilasse un chiodo rovente nell'articolazione. Il cassetto del comodino viene aperto con così tanta forza che quasi lo sradica; due flaconi sui quali è visibile la scritta "painkiller" sono vuoti.
Magari le hai dimenticate dentro il cannemozze. 
Chiudi la bocca.
La dice lunga sul tuo stato mentale, non credi? Senti le voci, sudi freddo, hai i nervi scossi. Hai anche ricominciato a fumare negli ultimi tempi. Esce fuori il fumatore quando le cose non vanno; e per te le cose non va...
Io sto bene, tu invece stà zitto!
Si alza dal letto a fatica, striscia lungo la parete per cercare di raggiungere un corridoio che all'improvviso si allunga di chilometri. Si muove, ma in realtà è fermo.
Avanti guardati. Cosa farai quando ti finiranno le pillole e ti troverai in mezzo al fuoco delle Bluejacks o a quello di qualche pirata? Non ce la fai, amico. Prendi il cannemozze, avanti. Un colpo.
Sta zitto, capito!? Ce la faccio.
La porta del bagno viene raggiunta a tentoni, alla cieca quasi. Le braccia che si aggrappano sul bordo del lavello ma è la sinistra che a stento raggiunge il mobiletto in cima alla parete e a gettare giù, nel lavandino i flaconi di pillole. Lo apre, versa il contenuto lì dentro; poi ne prende un pugno, tre o quattro pillole, e le getta in gola a secco.
Diana Williams, vero? Com'è che se n'è andata?
Le braccia reggono il busto sopra il lavello, con il capo gettato verso il basso e se non fosse che la testa fosse attaccata al collo, probabilmente starebbe già rotolando a terra.
Fuori dalla finestra piove. Sotto il naso sente l'odore della terra bagnata che mischia all'odore di piscio e di putrefazione; l'odore del sangue misto a quello dello xentio. La pioggia non batte contro la finestra ma contro lamine di ferro rinforzato e pozze di fango. 
Non ce la fa a dirgli di nuovo di stare zitto, o di smettere di ridere nella sua testa.
Quando alza la testa, per inquadrare lo specchio il suo riflesso è smembrato, scarnato: occhi enormi e neri; denti appuntiti che scendono irregolarmente da delle gengive sottili, messi in evidenza dalla mancanza delle labbra; da sotto la mascella ha due appendici sottili apparentemente simili ai tentacoli di un polipo; il naso è cavo, come un teschio. Sorride il suo riflesso.
Abituati a vedere la tua faccia, amico.
Un batter di palpebre, e quel fantoccio allo specchio, le voci, spariscono. La spalla fa già meno male.
Tornato in camera da letto, va alla ricerca delle sigarette. Fuma.
Dice bene chi afferma che nessuno smette, veramente, di fumare.